Guarda, devo essere onesto: questo discorso sulla crisi della Chiesa mi tocca particolarmente. Non so se è perché vengo da una famiglia religiosa, o perché ho visto con i miei occhi come sono cambiate le cose negli ultimi anni. Ma insomma, il fatto è che c’è qualcosa che non va, e non è solo una mia impressione.
L’altro giorno stavo leggendo un articolo sul Foglio che parlava proprio di questo: “Senza Dio la Chiesa non serve”, un titolo che ti colpisce dritto al cuore. E ho pensato: ecco, qualcuno ha finalmente messo il dito sulla piaga. Perché non si tratta mica di contare quante persone vanno ancora alla messa della domenica – quello lo fanno già tutti con i loro grafici e le loro statistiche. La questione è un’altra
Ti è mai capitato di entrare in una chiesa? Io ci vado ancora ogni tanto, e ti dico una cosa: fa impressione. Vedi le stesse facce di sempre, ma sono sempre meno, e sempre più vecchie. I giovani… beh, i giovani proprio non ci sono. E quando ci penso, non so nemmeno se la colpa sia loro o nostra.

Quella strana indifferenza che fa più paura della rabbia

Sai cosa mi colpisce di più di questa situazione? Non è che la gente ce l’abbia con la Chiesa, come magari succedeva una volta. No, è peggio: se ne frega completamente. È come se la Chiesa fosse diventata… come dire… irrilevante. Come quei negozi che stavano al centro del paese quando ero piccolo e ora sono diventati banche o fast food. Ci passi davanti e neanche li vedi più.
Le cattedrali, pensa un po’, sono piene di turisti che fanno le foto per Instagram, ma vuote di fedeli. Tutto ciò fa sorridere. Tutti ad ammirare la bellezza di quegli spazi, ma nessuno che si fermi a riflettere sul perché sono stati costruiti così.
E poi c’è questa cosa che mi ha sempre incuriosito: oggi ognuno si fa la sua religione personalizzata. Un po’ di buddismo per la meditazione, un pizzico di new age per il benessere, magari qualche santo cristiano per le emergenze. Sembra quasi di essere ad un market a fare la spesa ed in vendita c’è la spiritualità. Scegli quello che ti piace, lasci il resto.

Dal fedele al turista dello spirito

Zygmunt Bauman aveva ragione quando parlava di “vita liquida” – tutto si scioglie, tutto diventa fluido, anche la fede. Non ci sono più certezze granitiche, tutto è negoziabile. È interessante, per carità, ma anche un po’ spiazzante.
Ho letto che Danièle Hervieu-Léger chiamava questi nuovi credenti “pellegrini spirituali”. Bello, no? L’idea del pellegrino mi piace, ha qualcosa di romantico. Ma poi penso: un pellegrino sa dove sta andando, ha una meta. Questi pellegrini moderni… beh, mi sembrano più dei turisti che girano senza una guida.
Charles Taylor dice che viviamo in un’epoca dove ognuno deve scegliere, dove non ci sono più verità imposte dall’alto. E qui mi fermo un attimo… perché in effetti, non è mica un male avere la libertà di scegliere, eh? Il problema è quando la scelta diventa un obbligo e ti ritrovi spaesato in un supermercato di opzioni infinite.

Ma chi ha spento la luce?

Ecco, questa è la domanda che mi ronza in testa da tempo: ma come siamo arrivati a questo punto? È successo tutto da solo, naturalmente, o c’è qualcuno che ha lavorato dietro le quinte per arrivare fin qui?
Da una parte c’è la spiegazione più semplice: la modernità, l’urbanizzazione, il benessere economico che rende meno urgente il bisogno di trascendenza. Quando hai tutto quello che ti serve per vivere bene, perché dovresti cercare altro? È un ragionamento che fila, devo ammetterlo.
Però… e qui forse divento un po’ complottista, ma pazienza… non posso fare a meno di pensare che qualcuno, da qualche parte, abbia dato una bella spinta a questo processo. Roberto De Mattei, per esempio, documenta come fin dall’Ottocento ci siano state correnti di pensiero che puntavano proprio a marginalizzare il cristianesimo. E Augusto Del Noce parlava di una strategia precisa per scardinare i valori tradizionali.
Anzi no, aspetta, forse è meglio dire che… diciamo che la verità sta nel mezzo. Sicuramente ci sono stati processi naturali, ma qualcuno ne ha approfittato per accelerare le cose. Come quando hai una crepa nel muro e qualcuno ci batte sopra col martello: la crepa si allarga più in fretta.

Gli errori di casa nostra

Ma senti, non possiamo nemmeno fare i santi. La Chiesa di errori ne ha fatti parecchi, questo è innegabile. Gli scandali che tutti conosciamo, l’incapacità di parlare un linguaggio che i giovani capiscano, quella puzza di naftalina che a volte si sente nelle sacrestie…
Mi ricordo quando Papa Benedetto XVI parlava di “eclissi di Dio”. Era il 2007, mi pare, e già allora si vedeva che qualcosa non andava. Ma forse allora non immaginava quanto sarebbe peggiorata la situazione.
È un po’ come quando tuo nonno cerca di spiegarti qualcosa usando parole che non usi più da vent’anni. Si potrebbero lodare le buone intenzioni ma poi rimani solo con te stesso. Sembra quasi che il messaggio stenti ad arrivare

Cosa ci resta in mano?

Allora, ti chiederai: che si fa? Si abbassa la saracinesca e si dice addio a duemila anni di storia? Secondo me no, eh. Anche Cinquecento anni fa, durante il periodo delle Riforme, si è tentato di ribaltare tutto e riscrivere le regole del gioco. Potremmo impegnarci un po’ tutti a risollevare le sorti di questa Chiesa che se pur malaticcia continua a trasmettere valori fondamentali.
Perché guarda, se c’è una cosa che ho capito in tutti questi anni è che quando tutto va a rotoli, bisogna tornare alle basi. E le basi del cristianesimo sono sempre quelle: fede, speranza e carità. Non so te, ma io queste tre parole le trovo ancora tremendamente attuali.
La fede come capacità di andare oltre quello che vedi, di fidarti di qualcosa di più grande. Come dovrebbe essere, senza porsi troppe domande.
La speranza come antidoto al pessimismo cronico che ci circonda. Basta accendere il telegiornale per rendersi conto che di pessimismo ne abbiamo fin troppo.
E la carità… beh, di amore disinteressato ce n’è sempre bisogno, no? Soprattutto in una società dove tutto si compra e si vende.

Un nuovo inizio possibile

Ecco, forse è da qui che si può ripartire. Non con i grandi discorsi teologici che nessuno capisce più, ma con gesti concreti, con una presenza che si fa sentire senza urlare.
Ho sempre pensato che il cristianesimo, quando è autentico, ha qualcosa di rivoluzionario. Mette al centro la persona, non il profitto. Crea comunità vere in mezzo a tanta solitudine.
E poi… il cristianesimo ha questa capacità unica di dare senso anche al dolore, di trasformare le crisi in opportunità. Non è poco, credimi.
Non considerare tutto in modo catastrofico e finito, ma, bisogna essere proiettavi verso il futuro, bisogna essere propositivi: come se fosse un nuovo inizio. Come quando poti un albero: sembra che lo stai rovinando, ma in realtà lo stai preparando a rifiorire.
Beh, capisci cosa intendo? Insomma, una Chiesa che si dimentica di Dio non serve a nessuno. Ma una Chiesa che sa ancora testimoniare qualcosa di vero, di bello, di buono… quella sì che può ancora dire qualcosa all’uomo di oggi, che spesso si sente proprio spaesato come me quando cerco di capire dove stiamo andando.

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