Stamattina, mentre stavo in ufficio, ho sentito una collega dire al telefono: “Ma a me che me ne frega di quello che succede in Ucraina? Devo finire questa pratica”. L’ho guardata mentre sorseggiava un caffè e ho pensato che, in fondo, la capisco.

Però poi mi sono ricordato di quella volta, qualche mese fa, quando mi chiese del perché i prezzi stessero salendo alle stelle: “Mamma, perché costa così tanto?” mi aveva chiesto, sempre lei. Ecco, quello sarebbe stato il momento perfetto per spiegarle che quel conflitto “lontano” stava influenzando quello che mangiavamo nelle nostre case. L’Ucraina produce circa la metà dell’olio di girasole mondiale. Quando scoppia una guerra lì, i prezzi salgono qui. Non è magia, è connessione.

John Donne, quel poeta inglese del Seicento, aveva capito tutto molto prima di internet: “Nessun uomo è un’isola”. E aveva ragione, anche se allora ci volevano settimane per sapere cosa succedeva dall’altra parte del mondo. Oggi ci vogliono secondi, ma spesso facciamo finta che non ci riguardi. È più comodo così, no?

La verità è che abbiamo un problema. Il nostro cervello è rimasto quello di trentamila anni fa, quando tutto quello che dovevi sapere stava nel raggio di pochi chilometri da casa tua. Chi era il capo tribù, se avesse piovuto, se ci sarebbero stati abbastanza bacche per l’inverno. Fine. Il resto del mondo? Che mondo? Non esisteva, per quanto ti riguardava.

Oggi invece apri il telefono e in cinque minuti sai che c’è stato un terremoto in Turchia, che i prezzi del grano sono saliti in Argentina e che hanno scoperto una nuova specie di rana in Madagascar. Il problema è che il nostro cervello tratta tutte queste informazioni come se fossero rumori di sottofondo. “Interessante”, pensi, poi scorri oltre e ti preoccupi del traffico per andare al lavoro.

È normale, eh. Siamo programmati così. Mio figlio, che ha dodici anni, quando gli racconto di qualche crisi dall’altra parte del mondo mi guarda come se gli stessi parlando di Marte. Per lui il mondo vero è la scuola, i compiti, la partita di calcetto del mercoledì. Il resto è roba da telegiornale, lontana e astratta come un film di fantascienza.

Ma il punto è che quel terremoto in Turchia può fermare la produzione di un componente che serve alla fabbrica dove lavora tuo cognato. Quella crisi del grano in Argentina può far schizzare il prezzo della pasta che compri al supermercato. E quella rana in Madagascar… okay, quella forse non ti riguarda direttamente, ma hai capito il concetto.

Continuiamo a ragionare come se vivessimo ancora nel nostro piccolo borgo medievale, mentre in realtà siamo tutti passeggeri della stessa nave. E se non capisci come funziona la nave, rischi di rimanere molto sorpreso quando inizia a beccheggiare.

Tutto il resto ci sembra astratto, distante. Ma prova a spiegarlo al tuo portafoglio quando il prezzo della benzina schizza alle stelle per una crisi nel Golfo Persico, o al tuo lavoro quando la fabbrica dove lavori deve chiudere perché i chip non arrivano più dalla Cina.

Quando il globale diventa personale (e te ne accorgi solo dopo)

Pensa alla pandemia. Un virus che parte da un mercato di Wuhan e nel giro di tre mesi ti ritrovi chiuso in casa a guardare Netflix tutto il giorno. Chi l’avrebbe mai detto? Eppure, gli esperti ne parlavano da anni. Bill Gates aveva fatto una TED talk nel 2015 dicendo che la prossima catastrofe globale non sarebbe stata una guerra nucleare, ma una pandemia. Lo guardavano tutti e annuivano, poi sono tornati a casa e se ne sono dimenticati.

È il nostro bias cognitivo preferito: quello che gli psicologi chiamano “distance bias”. Più una cosa è lontana nello spazio o nel tempo, meno ci sembra importante. È lo stesso motivo per cui rimandiamo sempre la dieta o i risparmi per la pensione. Il nostro cervello tratta “fra vent’anni” come “mai” e “dall’altra parte del mondo” come “da nessuna parte”.

Ma la globalizzazione ha reso questo meccanismo obsoleto e anche pericoloso. Quando ero piccolo, mio nonno mi raccontava che durante la guerra si coltivava di tutto nell’orto di casa. Oggi compriamo pomodori dal Marocco, banane dall’Ecuador, quinoa dalla Bolivia. È comodo, economico, ci dà una varietà incredibile. Ma ci rende anche vulnerabili a qualsiasi scossone che succede in quei posti.

L’economista Joseph Stiglitz lo spiega bene in “La globalizzazione e i suoi oppositori”: siamo diventati così interconnessi che un problema locale può diventare globale in un battito di ciglia. E viceversa. Ricordi il crollo di Lehman Brothers? Una banca americana fallisce e improvvisamente anche tuo cugino che fa il muratore in provincia di Bergamo si ritrova senza lavoro.

Non sto dicendo che dovremmo tornare a vivere in autarchia, con le capre e l’orto. Sto dicendo che dovremmo capire come funziona questo mondo interconnesso, invece di far finta che non esista. È come guidare una macchina senza guardare gli specchietti: puoi anche farcela per un po’, ma prima o poi qualcosa ti viene addosso da una direzione che non stavi guardando.

Informarsi senza impazzire (una guida di sopravvivenza)

Allora, la domanda è: come fai a stare al passo con tutto quello che succede senza diventare matto? Perché diciamocelo, il telegiornale delle otto spesso sembra progettato apposta per farti venire l’ansia. “Aumentano i casi di…”, “Crolla il mercato di…”, “Esperti preoccupati per…”. Se stessi dietro a tutto, non dormiresti più.

Qui viene in aiuto un concetto che ho imparato da un giornalista americano, Jay Rosen: leggendo i suoi articoli, bisogna distinguere tra “segnale” e “rumore”. Il segnale è l’informazione che ti serve davvero per capire il mondo e prendere decisioni migliori. Il rumore è tutto il resto: le polemiche inutili, i pettegolezzi politici, le notizie che fanno clamore ma non cambiano niente nella tua vita.

Per esempio: sapere che c’è stata un’alluvione in Pakistan è rumore se non fai altro che preoccuparti per cinque minuti. Diventa segnale se ti fa capire qualcosa sui cambiamenti climatici o ti spinge a supportare un’organizzazione umanitaria. Sapere che due politici litigano su Twitter è rumore. Sapere che hanno approvato una legge che cambia le tasse sul tuo stipendio è segnale.

Clay Shirky, nel suo libro “Surplus cognitivo”, fa un punto interessante: per la prima volta nella storia abbiamo accesso a più informazioni di quante riusciamo a processare. È come essere in un buffet infinito dove tutto sembra delizioso, ma se mangi tutto stai male. Bisogna imparare a scegliere.

Un trucco che uso io: invece di cercare di seguire tutto, scelgo tre o quattro fonti che rispetto e le leggo con regolarità. Non quotidiani, ma cose più approfondite. “The Economist” per l’economia globale, “Internazionale” per avere una panoramica, qualche newsletter specializzata. E poi mi fido. È meglio essere ben informati su poche cose che male informati su tutto.

L’attualità non è uno spettacolo che guardi dal divano. È l’acqua in cui nuoti ogni giorno, che tu te ne accorga o no. Puoi scegliere di imparare a nuotare meglio, o puoi sperare che qualcun altro ti tenga a galla. Ma scegliere di ignorare tutto e sperare che non ti riguardi? Quello, mi dispiace, non è più un’opzione.


Letture che aiutano a capire il mondo (senza diventare cinici)

  • “La globalizzazione e i suoi oppositori” di Joseph Stiglitz l’ho letto dopo la crisi del 2008, quando cercavo di capire come fosse possibile che problemi nati negli Stati Uniti avessero distrutto posti di lavoro anche qui. Stiglitz spiega l’economia globale senza farti sentire stupido, cosa rara tra gli economisti.
  • “Surplus cognitivo” di Clay Shirky l’ho scoperto durante una discussione online su come i social media stiano cambiando il modo in cui ci informiamo. Shirky ha una prospettiva ottimista sulla tecnologia che fa bene in un mondo dove tutti parlano solo di apocalisse digitale.
  • Hai mai visto il TED talk di Bill Gates del 2015 sulla prossima epidemia? Se non l’hai fatto, ti consiglio di cercarlo su YouTube con il titolo “Bill Gates pandemic TED”. L’ho rivisto durante il lockdown, e devo dirti che mi ha lasciato di stucco: tutto ciò che diceva si è avverato, predetto con cinque anni di anticipo, eppure nessuno gli aveva dato retta. È davvero illuminante, fidati.
  • Per chi vuole informarsi senza impazzire, ti segnalo alcune letture che trovo veramente utili e interessanti. “Internazionale” è una splendida rivista che raccoglie il meglio della stampa mondiale: una vera miniera di notizie approfondite e mai banali. E poi c’è la newsletter di Morning Brew, perfetta per chi cerca un modo fresco e leggero di esplorare temi economici senza annoiarsi. Se mastichi un po’ di inglese, “The Economist” resta uno dei miei preferiti: non c’è nulla di meglio per comprendere cosa accade nel mondo e, soprattutto, perché dovrebbe interessarti. Fidati, con queste fonti, sentirai di avere una bussola in mezzo al caos delle notizie.

Per approfondire:

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