Raymond Aron (1905-1983): Sociologo, filosofo e giornalista francese. Importante interprete del pensiero di Tocqueville nel XX secolo, autore di “Le tappe del pensiero sociologico” (1967).
Raymond Aron: L’Intellettuale che Disse No a Tutti
Guarda, Raymond Aron… questo qui è stato probabilmente l’intellettuale francese più coraggioso del Novecento. E quando dico coraggioso, non intendo che andava in guerra – anche se c’è andato pure quello – ma che aveva il coraggio di dire “no” quando tutti dicevano “sì”.
Nasce nel 1905 in una famiglia ebraica borghese, si laurea all’École Normale Supérieure – la solita storia dei cervelloni francesi, insomma. Ma Raymond ha una particolarità: mentre i suoi compagni di corso come Jean-Paul Sartre e Maurice Merleau-Ponty si innamorano perdutamente del marxismo, lui rimane scettico. Non che fosse di destra, eh, semplicemente non riusciva a credere alle favole.
Negli anni Trenta va in Germania come lettore universitario e… cavolo, si trova in prima fila a vedere nascere il nazismo. Mentre molti intellettuali francesi ancora non capivano cosa stesse succedendo, Aron aveva già capito tutto. Torna in Francia e inizia a scrivere che Hitler è pericoloso sul serio. Ma chi lo ascoltava? Nessuno, naturalmente.
Durante la guerra finisce a Londra con de Gaulle, e lì scrive per “La France Libre”. Ma la cosa buffa è che anche con il Generale non andava sempre d’accordo. Aron era fatto così: indipendente anche quando gli costava caro.
Poi arriva il dopoguerra e succede una cosa incredibile. Mentre tutta l’intellighenzia parigina – Sartre in testa – si innamora dell’Unione Sovietica, Raymond scrive “L’opium des intellectuels” nel 1955. Praticamente dice: “Ragazzi, state delirando, il comunismo non è il paradiso che credete”. Lo hanno massacrato, ovviamente. Sartre non gli parlava più, era diventato il paria di Saint-Germain-des-Prés.
Ma Aron se ne fregava. Continuava a scrivere, a insegnare alla Sorbona, a fare il giornalista per “Le Figaro”. E soprattutto continuava a studiare de Tocqueville. Nel 1967 pubblica “Le tappe del pensiero sociologico”, dove dedica un capitolo bellissimo ad Alexis. Aron aveva capito che de Tocqueville era l’antidoto perfetto contro tutte le ideologie totalitarie del Novecento.
La cosa che mi ha sempre colpito di Raymond è che non è mai diventato cinico, nonostante avesse ragione quando tutti gli davano torto. Quando nel ’68 gli studenti occupavano la Sorbona, lui non diceva “ve l’avevo detto io”, cercava di capire cosa stesse succedendo davvero. Scriveva che sì, c’erano dei problemi nella società francese, ma che la rivoluzione non era la soluzione.
È morto nel 1983, giusto in tempo per vedere il crollo del mito sovietico che aveva smontato trent’anni prima. Aron era quello che oggi chiameresti un “liberale realista”: credeva nella democrazia e nella libertà, ma senza illusioni romantiche. Un po’ come de Tocqueville, in fondo. Forse è per questo che lo capiva così bene.

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