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François Furet (1927-1997): Storico francese, specialista della Rivoluzione francese. Ha utilizzato le categorie tocquevilliane per analizzare i totalitarismi del XX secolo.

François Furet: Il Comunista che Diventò l’Incubo dei Comunisti
Ma pensa te che storia quella di François Furet! Nasce nel 1927 a Parigi, figlio di un pittore – e già questo ti fa capire che aria si respirava in casa, no? Famiglia borghese, intellettuale, dove probabilmente a cena si parlava d’arte invece che del prezzo del pane.
A vent’anni, nel 1947, Furet fa una cosa che oggi ti sembrerebbe assurda: si iscrive al Partito Comunista francese. Eh sì, proprio così. Era il periodo in cui molti giovani intellettuali francesi credevano davvero che l’Unione Sovietica fosse il futuro dell’umanità. E François, bravo studente della École Normale Supérieure, ci credeva pure lui.
Ma qui casca l’asino. Furet aveva un difetto terribile per un comunista: pensava troppo. Nel 1956, quando i carri armati sovietici entrano a Budapest per schiacciare la rivolta ungherese, lui inizia a farsi delle domande scomode. “Ma scusate, non era questa la libertà che dovevamo portare al mondo?”. E nel 1958, dopo undici anni, sbatte la porta e se ne va dal partito.
Da lì in poi, François diventa praticamente ossessionato dalla Rivoluzione francese. Ma non come quegli storici noiosi che ti raccontano solo date e battaglie. No, lui vuole capire i meccanismi, la psicologia, come si passa dall’entusiasmo per la libertà al Terrore. È come se stesse cercando di capire cosa era andato storto anche con il comunismo.
Nel 1965 pubblica “La Rivoluzione francese” insieme a Denis Richet, e già lì si capisce che non è uno storico qualunque. Poi nel 1978 arriva “Pensare la Rivoluzione francese”, che è un po’ come una bomba atomica nel mondo accademico francese. Furet praticamente dice: “Guardate che la Rivoluzione non è stata solo una cosa bella, c’erano anche aspetti terrificanti che dobbiamo ammettere”.
Ma sai qual è la cosa geniale di Furet? Che aveva capito il legame tra la Rivoluzione francese e il comunismo del Novecento. Entrambi partivano con le migliori intenzioni – libertà, uguaglianza, giustizia – e finivano nel totalitarismo. “Il passato di un’illusione” del 1995 è praticamente l’epitaffio del sogno comunista scritto da uno che c’aveva creduto davvero.
È morto nel 1997, a 70 anni, proprio quando stava lavorando su de Tocqueville. L’ironia della storia: l’ex comunista che finisce per studiare l’aristocratico liberale. Ma in fondo, entrambi avevano capito una cosa fondamentale: che la libertà è una cosa fragile, che si può perdere anche con le migliori intenzioni.

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