A volte, quando guardo le notizie, mi viene da pensare “ma qui chi comanda per davvero?” è tutto un ballottaggio tra politici contro giudici e giudici contro politici
Il caso di Marine Le Pen in Francia… guarda, non è che io simpatizzi particolarmente per lei, anzi. Ma quando vedo che rischia il carcere e soprattutto di non poter più candidarsi, mi viene da pensare: aspetta un attimo, qui stiamo davvero parlando di giustizia o di altro?


Ora, i fatti sono questi (almeno quelli che sappiamo): la procura di Parigi ha chiesto cinque anni di carcere e l’ineleggibilità per la leader del Rassemblement National. L’accusa? Aver usato i fondi del Parlamento europeo per pagare assistenti che in realtà lavoravano per il partito invece che per l’Europa. Insomma, una classica storia di “fondi pubblici finiti in tasca privata”, o meglio, in cassa partito. Ma qui viene il bello… o il brutto, dipende da come la vedi tu.
Perché una cosa è processare qualcuno per corruzione, un’altra è farlo a pochi anni dalle elezioni presidenziali sapendo benissimo che quella persona potrebbe essere la principale rivale di Macron. E questo non è complottismo da bar, è semplicemente guardare il calendario e fare due più due. Come dicevano gli anziani (che di politica se ne intendevano parecchio): “Le coincidenze in politica sono rare come gli unicorni”.
Il punto è che casi del genere li vediamo ovunque, dalle nostre parti fino agli Stati Uniti, ed è un fenomeno che attraversa tutte le democrazie occidentali come una crepa invisibile ma profonda

Dall’Italia agli Stati Uniti: Stesso Film, Cast Diverso

Beh, se pensiamo all’Italia… diciamo che di esperienza in materia ne abbiamo parecchia. Da Tangentopoli in poi, il rapporto tra magistratura e politica è stato più turbolento di un matrimonio da telenovela. E non è che le cose siano andate meglio altrove: negli Stati Uniti, i processi a Trump hanno scatenato dibattiti feroci sulla “weaponization” del sistema giudiziario. Come osserva brillantemente Steven Levitsky in “How Democracies Die” (2018), quando la giustizia diventa un’arma politica, la democrazia stessa vacilla.
Ma guarda, forse il caso più interessante è quello della Polonia, dove il governo di destra ha cercato di riformare la Corte Suprema nominando giudici “amici”. L’Unione Europea ha reagito come un genitore arrabbiato, attivando l’articolo 7 per violazione dello stato di diritto. Risultato? Un braccio di ferro che dura ancora oggi e che mostra quanto sia complicato bilanciare sovranità nazionale e principi democratici.
In Germania, invece, la Corte Costituzionale gode di un rispetto quasi religioso. Secondo i dati del Eurobarometer 2023, l’82% dei tedeschi si fida del proprio sistema giudiziario, contro il 54% della media europea. Coincidenza? Non credo proprio.

Il Paradosso della Democrazia Moderna

A dire il vero, più ci penso e più mi sembra che siamo davanti a un paradosso irrisolvibile. Da un lato, abbiamo bisogno di giudici indipendenti che controllino il potere politico – altrimenti addio checks and balances, ciao democrazia. Dall’altro, quando questi giudici prendono decisioni che influenzano pesantemente la politica, chi li controlla? Il popolo non li elegge, eppure le loro sentenze possono cambiare le sorti di un’elezione.
In alcuni paesi (penso alla Scandinavia) c’è una tradizione di fiducia nelle istituzioni che facilita questo equilibrio. In altri, come l’Italia o gli Stati Uniti, la politica è più… diciamo “creativa” nel cercare di influenzare la giustizia, quindi, presumo che possano esserci delle afferenze culturali.
Come suggerisce Tom Ginsburg in “Judicial Review in New Democracies” (2003), forse dovremmo ripensare completamente il modello: tribunali specializzati per reati politici? Giurie cittadine per i casi più delicati? Boh, non lo so… bisognerebbe, comunque, intervenire perché la situazione risulta essere insostenibile.

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